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“Proprio non ti sopporto!” | Perchè proviamo fastidio di fronte a certe persone.

  • Immagine del redattore: Dott. Carrera | Psicologo
    Dott. Carrera | Psicologo
  • 7 mar 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

Cos’è veramente che ci infastidisce degli altri? Non tolleriamo negli altri quegli aspetti che non sappiamo di non tollerare in noi stessi.

Quante volte abbiamo detto questa frase, o l’abbiamo anche solo pensata?


Ma che cos’è veramente che ci infastidisce degli altri?

Perché alcune sfumature del carattere, dell’atteggiamento o del modo di parlare di una persona proprio non le sopportiamo?

Non tolleriamo negli altri quegli aspetti che non tolleriamo in noi stessi, o meglio, che non sappiamo di non tollerare in noi stessi.

Ognuno di noi ha delle “zone d’ombra”, qualche parte di sé che non conosce perché ritiene inaccettabile, troppo dolorosa o forse semplicemente troppo lontana dalla coscienza.

Ma che queste parti non siano a noi accessibili, non significa che non esistano. Anzi, continuano a “lavorare dal sottosuolo” e a farsi sentire.

Quando la loro voce è tanto forte da rischiare di rendersi visibili alla nostra coscienza, e quindi di farci soffrire, tendiamo a “metterle fuori”, ad attribuirle a qualcun altro. In questo modo, possiamo prendere le distanze da qualcosa che ci risulta insopportabile di noi stessi: nel dire all’altro “Non ti sopporto!”, stiamo quindi dicendo a noi stessi “Tranquillo, questa cosa non mi appartiene, non sono io il problema...è lui!”.

È il meccanismo della proiezione.

Chiaramente, se è vero che non è un caso se non sopportiamo proprio quello specifico lato di una persona, è altrettanto vero che non scegliamo casualmente la persona che diventa l’oggetto della nostra proiezione. Anzi, la scegliamo proprio perché agli occhi del nostro inconscio essa possiede delle caratteristiche che fanno di lei “l’attaccapanni perfetto” per la nostra proiezione, perché, in qualche modo inconscio, essa si presta a recitare questo ruolo.


Ma quindi la proiezione è patologica?

No, la proiezione, di per sé, non è patologica: essa è un meccanismo di difesa, un modo che noi troviamo per proteggere noi stessi da qualcosa che per qualche ragione viviamo come fonte di una sofferenza eccessiva. E proteggersi dal dolore non solo non è patologico, ma è una modalità umana e funzionale a garantire l’integrità psichica.

Certo è, tuttavia, che finché riteniamo che gli altri siano portatori di qualche “macchia”, non possiamo farci granché: difficile pensare di poter cambiare un’altra persona perché ci suscita fastidio, ciò che al massimo possiamo fare è evitarla. Ma rimanere in questa dinamica rischia di crearci profonda sofferenza, in quanto questa “macchia”, in definitiva, è nostra, e pertanto la porteremo dentro di noi ovunque andremo. Prima o poi accadrà che alzerà nuovamente la voce e allora noi non potremo fare altro che individuare (sempre inconsciamente, s’intende) un’altra persona che si presti a farci da “attaccapanni”.


Come evitare tutto questo?

Non si tratta tanto di evitare di incorrere nel meccanismo della proiezione. Si tratta piuttosto, quando si incappa in esso, di riconoscerlo e di dirsi “Aspetta un momento, sono sicuro che sia proprio quell’altra persona a darmi fastidio? O forse in lui rivedo qualcosa che c’è in me e che ancora non conosco?”.

Si tratta, in fondo, di iniziare a pensare che possiamo dialogare non solo con gli aspetti di noi stessi che riteniamo gradevoli e accettabili, ma anche con queste “zone d’ombra”, queste “macchie” che ognuno porta con sé. La stanza della psicoterapia è un buon luogo per sperimentarsi in questo: la stanza della psicoterapia è un posto sicuro dove il giudizio è assente, dove si sperimenta l’ascolto attento e delicato, dove vengono rispettati i tempi e i ritmi di ciascuno. Un luogo, insomma, dove è possibile guardare anche i lati di noi che non ci piacciono poi così tanto, prendere confidenza con loro, dialogarvi e farne conoscenza. Questo permette di fare luce ove prima c’era l’ombra, riconferendo a questi aspetti di noi

quella dignità che meritano. Sì, dignità. Perché non c’è nessun aspetto dell’essere umano che non meriti dignità e rispetto. Allora le zone d’ombra non saranno più così oscure e sinistre, e ciò che prima ritenevamo delle “macchie”, magari scopriremo essere semplicemente un’altra sfumatura di colore del caleidoscopio che è la nostra persona.

2 Comments


Lucas Lichess Sòzzi
Lucas Lichess Sòzzi
Apr 09, 2023

..un gap generazionale di cui sono stato spettatore impietrito per anni. Da chi sta in mezzo, circa i Primi, non infrequentemente, sento pertanto dire che «hanno saputo costruir un benessere diffuso assai limitato nel tempo, e lasciato distrattamente ai Secondi un ascensore sociale guastissimo ed un debito pubblico record»...e si palesa il disegno di quelle sanguisughe accecate dal vil Dinero chiamate a governarci a cavallo tra le due uniche Repubbliche della nostra storia: alimentare l'instabilità comunicativa nei ceti medi ed annientare i sogni di tutti i veri Nuovi Ragazzi del '99

(='90 »'09), di cui non faccio mistero di appartenere. In un mondo "civile" dunque sempre più malato di protagonismi inutili, di competizione ossessiva a colpi di post e di…

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Lucas Lichess Sòzzi
Lucas Lichess Sòzzi
Apr 09, 2023

Tesi impeccabile, tuttavia... l'atavica ostilità reciproca tra 2 parenti adulti di età apparentemente vicina (ed affatto estranei l'uno all'altro) potrebbe essere benissimo data sia dall'abisso dell'impatto ambientale avuto fin dai 5 anni dagli stessi con 2 distinte zone di una stessa città o provincia, sia da quanto socio-culturalmente abbiano influito sul loro comportamento (e sull' impostazione del pensiero globale) le classi di persone con le quali erano soliti incontrarsi e scambiarsi opinioni/passioni. Difficilmente un dottore/una dottoressa (per quanto competente) potrebbe cancellare l'annoso diverbio sopradescritto da solo, e figurarsene uno caratterizzato da urla ed insulti laceranti fra un/una Bboomer & un/una Millennial-Zoomer...

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